Questo documento nasce per rispondere alla domanda su come orientarsi nella scelta di un educatore cinofilo.

Vorrei sottolineare che non esiste alcuna regola “ufficiale”: sono i miei parametri personali, frutto della mia esperienza. Può darsi che vadano bene per alcuni e non per altri, o che vadano integrati. 🙂

 

Credo sia anche giusto dire, casomai qualcuno se lo stesse giustamente chiedendo, che io non ritengo di essere sempre all’altezza di tutti questi punti… ci provo, ecco, questo si, faccio del mio meglio, sapendo che ho dei limiti.

 

 

Orientarsi nel panorama dell’educazione cinofila (e dell’istruzione, dell’addestramento, ecc.) è abbastanza complicato perché chiunque può dire praticamente qualsiasi cosa… anche perché se è di moda l’approccio “XY” finisce che molte persone affermeranno di avere quel tipo di approccio anche se non è così… magari in malafede, ma al limite anche in buonafede.

 

La prima distinzione secondo me riguarda il modo di guardare al cane e agli eventuali “problemi”: c’è chi guarda all’umano e chi guarda al cane. Io prediligo chi guarda prima di tutto al cane e poi amplia la prospettiva alla famiglia.

Questo non per una preferenza, una sorta di “specismo cinofilo”, ma perché se un cane presenta determinati comportamenti, questi derivano SEMPRE da una condizione emotiva e psicologica.

Agire sul comportamento problematico è come, nel caso di una malattia, trattare il sintomo: difficilmente si risolve il problema, spesso lo si attenua solo per un po’, magari rischiando anche degli effetti collaterali, ma se non si cura l’origine del sintomo, è probabile che torni fuori nella prima occasione in cui c’è un momento di debilitazione (siccome stiamo parlando di questioni emozionali e psicologiche, il momento di debilitazione corrisponde a un momento – o a un periodo – di stress).

 

 

Quando devo valutare un professionista e il suo lavoro, dopo aver scartato a priori chi lavora in addestramento (cioè dicendo al cane cosa fare e quando e come farlo, indipendentemente da che lo faccia a pedate nel sedere o a suon di premietti), tendo a cercare di capire alcune cose.

I primi quattro punti riguardano nello specifico il lavoro con il cane:

 

1 – quanto è sereno/lucido/consapevole (l’umano!): una persona agitata, frettolosa, con l’ansia di fare qualche cosa ad ogni costo, che ha l’urgenza di dimostrarmi che sa fare, mi suggerisce che non si senta davvero adeguato e mi trasmette emozioni inopportune… se le trasmette a me figuriamoci al mio cane!

 

2 – quanto è attento al cane: sono una merdaccia e lo so, quindi faccio questo test… chiacchiero (mi viene facilissimo! 😉 ). Se nelle fasi in cui l’educatore dovrebbe osservare il cane per valutarlo, ascolta e guarda me più del cane stesso, la cosa non mi piace. Una persona presente a se stessa, consapevole di quello che sta facendo, si scuserebbe e mi direbbe che non può prestarmi attenzione in quel momento perché deve vedere il cane (i professionisti migliori che ho seguito hanno tutti fatto così, non credo sia un caso!). Ci sono anche quelli che riescono a fare tutte e due le cose (li invidio) ma se una persona guarda più me del cane, specie nelle fasi preliminari, o è focalizzata su risolvere i problemi a me invece che al cane, oppure è una persona che reagisce alle situazioni lasciandosi trascinare invece di guidarle/gestirle.

 

3 – quanto è in grado di farmi capire che cosa vuole fare: io sono una persona che ama capire le cose, vorrei qualcuno che mi illustrasse chiaramente la sua lettura della situazione di partenza, quali sono i punti di forza e i punti di debolezza del quadro iniziale, a che situazione vuole arrivare, e attraverso quale percorso. In particolare, siccome i comportamenti nascono da emozioni/pensieri/intenzioni, vorrei che mi venisse spiegato come prima cosa non quali “esercizietti” fare, ma su quali emozioni vuole lavorare, in che modo, attraverso quali esperienze pensa di poter far cambiare le emozioni del cane e perché quelle nuove emozioni (e esperienze, e competenze, ecc.) gli permetteranno di scegliere di esprimere comportamenti diversi.

 

4 – quanto ha le idee chiare sul lavoro pratico: una volta capito il punto di partenza e l’obiettivo da raggiungere, e definito più o meno il modo di arrivarci (con la clausola che il lavoro va monitorato costantemente ed è normalissimo che ci siano degli aggiustamenti da fare in corso d’opera, perché la vita è piena zeppa di variabili!), occorre che mi dia indicazioni semplici, comprensibili, limpide su cosa “fare” in pratica. Una persona che si limita alla teoria può essere affascinante da ascoltare, ma poi non mi aiuta a risolvere il problema. C’è bisogno anche di concretezza, di routine pratiche che siano realistiche e applicabili all’interno della famiglia.

 

 

 

Gli altri quattro punti esulano dal cane in senso stretto, ma li ritengo comunque importantissimi e imprescindibili:

 

5 – un buon educatore cinofilo deve avere rispetto e comprensione anche per gli esseri umani. Questo non significa accettare e giustificare tutto, per carità, ma significa ascoltare davvero la famiglia almeno tanto quanto il cane, capire quali sono i disagi che vivono le persone (in relazione al cane), porsi in modo accogliente e non giudicante. Una persona può anche avere sbagliato tutto, può avere peggiorato il problema fino al giorno prima, può avere fatto cose pessime, ma ha ANCHE cercato un aiuto esterno: non è una cosa banale. Esattamente come i cani hanno bisogno di essere capiti e valorizzati, aiutati a crescere e a essere sereni, così gli umani, ESATTAMENTE allo stesso modo, non vanno denigrati o derisi, ma messi di fronte alla possibilità di crescere e di sentirsi sereni e in grado di risolvere i propri problemi.

 

6 – un buon educatore cinofilo deve essere onesto e realista: a volte le situazioni che si presentano sono veramente deliranti, non per forza per cattiva volontà da parte degli umani, ma perché non c’è il tempo (persone che sono obbligate a lavorare per moltissime ore fuori casa, per esempio), o non ci sono gli spazi (cani conviventi con seri problemi sociali, alto stress, e che non si sopportano, in un monolocale openspace, per dire), o comunque non c’è il modo per venire a capo di una situazione. Un educatore cinofilo serio deve saper dire al suo cliente se ci sono oggettivi problemi che possono rallentare o impedire la soluzione. Promettere mari e monti e illudere un cliente non è mai una buona politica, né per il cliente né per l’educatore (men che meno per il cane).

 

7 – un buon educatore cinofilo deve saper collaborare non solo con cani e clienti, ma con colleghi e altri professionisti: ci sono casi in cui chiunque, anche se esperto, può trovarsi in panne. E’ importante mirare ad arrivare a destinazione, non ad arrivarci per forza da soli. Dialogare con veterinari, veterinari comportamentalisti, altri educatori, e chiedere pareri e collaborazione non significa ammettere incapacità, ma al contrario, vuol dire saper andare oltre alle proprie insicurezze e al proprio orgoglio pur di fare davvero qualche cosa di buono (acquisendo esperienza nel frattempo).

 

8 – un buon educatore cinofilo si fa pagare… il giusto! Personalmente trovo orribile il lucrare eccessivamente alle spalle di persone che stanno cercando un aiuto per la propria famiglia, però credo sia veramente importantissimo anche non svendersi. Tariffe “da discount” fanno male a molti livelli: oltre a svalutare il lavoro di chi le applica, fanno passare la categoria dell’educatore cinofilo come una di “professionisti per hobby”, gente che lo fa nei ritagli di tempo perché il lavoro “vero” è un altro.

Per poter dedicare tempo, soldi ed energie a questa professione, in cui la pratica e l’esperienza contano tanto quanto le competenze teorico-scientifiche, che peraltro sono sempre in evoluzione, deve essere una professione che paghi abbastanza da far vivere una vita serena e dignitosa a chi la pratica. Visto il costo della vita e visto quanto è importante ma oneroso continuare la formazione in modo costante, non ha senso farsi pagare una miseria solo per racimolare qualche cliente in più. Diverso è lavorare su alcuni casi “pro bono”, quella è un’altra cosa, ma di base deve esserci una retribuzione ragionevole.